Verbalizzazione delle attività espletate da un organo collegiale e forma scritta dei relativi atti

DAL SITO DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

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Verbalizzazione delle attività espletate da un organo collegiale e forma scritta dei relativi atti

  • Cons. St., sez. II, 4 giugno 2020, n. 3544 – Pres. Cirillo, Est. Lotti
  • Atto amministrativo – Atto collegiale – Verbalizzazione – Natura.

    Atto amministrativo – Forma – Atto collegiale – Forma scritta – Necessità – Esclusione.

     

     La verbalizzazione delle attività espletate da un organo amministrativo costituisce un atto necessario, in quanto consente la verifica della regolarità delle operazioni medesime (1).

    Gli atti adottati da un organo collegiale non devono necessariamente avere forma scritta (1).

     

    (1) Ha affermato la Sezione che secondo la dottrina in materia di studio sugli atti amministrativi, il verbale può definirsi quale atto giuridico, appartenente alla categoria delle certificazioni, quale documento avente lo scopo di descrivere atti o fatti rilevanti per il diritto, compiuti alla presenza di un funzionario verbalizzante cui è stata attribuita detta funzione.
    La verbalizzazione, pertanto, ha l’obiettivo di assicurare e dare conto della certezza
    Un primo carattere importante degli atti verbali consiste nella documentazione di quanto si è verificato in relazione ad un determinato accadimento della vita e, nella sua qualità di atto amministrativo, deve essere distinto rispetto agli atti ed ai fatti che vengono rappresentati e descritti proprio nelle verbalizzazioni.
    Ne è un esempio la deliberazione adottata ad esempio da parte di un certo organo collegiale che esiste a prescindere dall’atto verbale che ne riferisce i contenuti.
    In relazione alla forma dell’atto amministrativo consistente nel verbale, occorre aggiungere che, in generale, il diritto amministrativo sancisce un principio (seppur temperato) di libertà della forma salvo che non sussistono del diritto positivo delle specifiche norme giuridiche che dispongono invece una determinata forma richiesta per l’esistenza dell’atto cd. ad substantiam.
    Detto principio di libertà della forma, in ogni caso, è relativo alla possibilità di redazione di un atto in forma scritta senza il rispetto di particolari metodi solenni.
    In sostanza la forma è un elemento che si lega alla dichiarazione, determinato per legge. Nel diritto amministrativo la forma degli atti è tendenzialmente libera, potendo l’atto amministrativo rivestire sia la forma scritta (es. un verbale) sia la forma orale (es. un atto iussivo) sia la forma simbolica o per immagini (es. un segnale stradale).
    In genere è la legge che stabilisce quale forma l’atto debba assumere, in ossequio ai principi di tipicità e nominatività degli atti. In difetto, occorre valutare il grado di incidenza dell’atto sulle situazioni giuridiche dei destinatari e la natura degli interessi in gioco, richiedendosi preferibilmente la forma scritta nel caso di provvedimenti limitativi della sfera giuridica altrui.
    Se la forma è essenziale, la sua violazione comporta, di regola, l’annullabilità dell’atto ed il relativo vizio è quello della violazione di legge.
    Se si ritiene, peraltro, che la forma sia un elemento costitutivo all’atto, la sua mancanza comporta la nullità dell’atto. Se invece la violazione attiene ad un aspetto meramente formale, che non incide sugli elementi essenziali, allora il vizio può essere sanato mediante autocorrezione (es., in caso di mera irregolarità) ovvero mediante il principio del raggiungimento dello scopo.
    Resta da chiarire che, in ogni caso, la forma dell’atto si distingue necessariamente rispetto alla documentazione nell’ambito della quale vengono trascritti gli accadimenti dei fatti occorsi.
    Con ciò si afferma, pertanto, che, nel prescindere da un’essenziale esigenza di forma scritta per la sostanza dell’atto amministrativo, quest’ultimo è necessariamente documentabile mediante la scrittura od altro strumento da cui possa trarsi la verificabilità dell’atto o dei fatti avvenuti.
    Si tenga inoltre conto che l’art. 22, l. n. 241 del 1990 offre una definizione di documento amministrativo e cioè ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi a uno specifico procedimento, detenuti da una Pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.
    Detta disposizione conferma la distinzione ontologica, adottata dallo stesso diritto positivo, tra atto amministrativo e sua documentazione.

     

    (2) Ha chiarito la Sezione che nello specifico degli atti degli organi collegiali, di norma la forma scritta non qualifica le decisioni adottate dagli stessi, potendosi le stesse manifestare mediante forme anche diverse dallo scritto, come per le votazioni e proclamazione delle stesse.
    Successivamente rispetto alle votazioni espresse nell’ambito di un collegio, si procede a stilare l’atto di deliberazione che, in pratica, riproduce un atto già di per se valido ed efficace.
    In tal caso il documento amministrativo contenente le manifestazioni di volontà del consesso e ha la funzione di conservare alla memoria la deliberazione così come è stata adottata.
    Pertanto nell’ambito degli organi collegiali, la volontà viene manifestata mediante formalità che possono essere anche differenti dall’atto scritto.

    La documentazione dell’atto, ovvero le deliberazioni, trova la sua fonte nella verbalizzazione di quanto viene manifestato all’interno della seduta del consesso.
    Detto verbale forma la memoria conservativa rispetto a quanto è accaduto nell’ambito delle decisioni intraprese dall’assemblea e va a costituire la documentazione amministrativa necessaria ai fini amministrativi.
    Tale verbalizzazione può avvenire, in certi casi, anche nella seduta successiva, in cui viene dato atto della deliberazione adottata (già adottata e perfezionata, quindi), nella seduta precedente.
    Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (11 dicembre 2001, n. 6208), infatti, il verbale ha il compito di attestare il compimento dei fatti svoltisi in modo tale che sia sempre verificabile la regolarità dell’iter di formazione della volontà collegiale e di permettere il controllo delle attività svolte, senza che sia necessaria una indicazione minuta delle singole attività che sono state compiute e le singole opinioni espresse.
    Pertanto, distinguendo tra atto documentato e verbale ed anche tra documento e verbale in cui si conserva l’atto già valido, l’iter logico seguito per l’adozione di una deliberazione da parte di un organo collegiale deve risultare dalla delibera stessa e non dal verbale della seduta poiché il verbale ha l’esclusivo compito di certificare fatti storici già accaduti e di assicurare certezza a delle determinazioni che sono già state adottate e che sono già entrate a fare parte del mondo giuridico dal momento della loro adozione: la mancanza o il difetto di verbalizzazione non comportano, quindi, l’inesistenza dell’atto amministrativo, poiché a determinazione di volontà da parte dell’organo è distinta inequivocabilmente dalla sua proiezione formale.
    Il difetto di verbalizzazione, in sintesi, non comporta l’inesistenza dell’atto amministrativo, dato che la determinazione volitiva dell’organo è ben distinta dalla sua proiezione formale (Cons. St., sez. IV, 18 luglio 2018, n. 4373), confermandosi, così, la distinzione tra atto deliberato e sua verbalizzazione.
    Dal punto di vista contenutistico, di conseguenza, l’atto di verbalizzazione, ha una funzione di certificazione pubblica, contiene e rappresenta i fatti e gli atti giuridicamente rilevanti che è necessario siano conservati per le esigenze probatorie con fede privilegiata – dal momento che sono redatti da un pubblico ufficiale – che si sostanzia essenzialmente nella attendibilità in merito alla provenienza dell’atto, alle dichiarazioni compiute innanzi al pubblico ufficiale ed ai fatti innanzi a lui accaduti (Cass., sez. I, 3 dicembre 2002, n. 17106).
    Infine, deve rammentarsi, che, secondo la maggioritaria giurisprudenza amministrativa, con la quale si concorda pienamente, il verbale non deve essere necessariamente prodotto ed approvato in contemporaneità con la seduta dell’organo collegiale, ma può essere prodotto anche in un momento successivo al provvedimento deliberativo adottato durante la seduta (Cons. St. n. 1189 del 2001).
    Peraltro, la non ascrivibilità del verbale agli atti collegiali comporta che la sottoscrizione di tutti i componenti del collegio non è essenziale per la sua esistenza e validità, che possono essere incise solo dalla mancanza della sottoscrizione del pubblico ufficiale redattore, ovvero dalla mancata indicazione delle persone intervenute.

Avv. Roberto Di Pietro

Avv. Roberto Di Pietro da Avezzano (L'Aquila)