Fascia di rispetto per ampliamento di una strada e indennizzo

La Prima Sezione civile della Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di espropriazione per pubblica utilità, nel caso in cui, per effetto della realizzazione o dell’ampliamento di una strada pubblica (nella specie, di una autostrada), il privato debba subire nella sua proprietà la creazione o l’avanzamento della relativa fascia di rispetto, quest’ultima si traduce in un vincolo assoluto di inedificabilità che di per sé non è indennizzabile, ma che, in applicazione estensiva della disciplina in tema di espropriazione parziale, non esclude il diritto del proprietario di essere indennizzato per il deprezzamento dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti, quando risultino alterate le possibilità di utilizzazione della stessa ed anche per la perdita della capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste».

Trattasi della sentenza n. 10747 del 5 giugno 2020.

Ecco il link per leggerla sul sito della Corte

Questo il passo saliente della motivazione:

2.2.- Il motivo è fondato nei termini e con le precisazioni che si illustreranno. Il Collegio non condivide la tesi, sostenuta nel motivo, secondo cui la fascia di rispetto stradale e autostradale avrebbe l’effetto di imporre un semplice obbligo di distanza, al fine di impedire la realizzazione di manufatti edilizi all’interno della predetta fascia e di favorire e garantire la sicurezza della circolazione sulle strade e nelle immediate vicinanze; ritiene, invece, di dare continuità al diverso orientamento secondo cui il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale si traduce in un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della P.A. di cui all’art. 42 Cost. (cfr. Cass. n. 14632 del 2018, n. 13516 e 25668 del 2015, n. 27114 del 2013, n. 5875 del 2012; in senso analogo è la giurisprudenza del Consiglio di Stato: sez. IV, n. 90 del 2018, n. 347 del 2015, n. 2062 del 2013; sez. V, n. 4432 del 2012). Il suddetto orientamento esclude la natura espropriativa del vincolo in questione sul presupposto che, derivando dalla legge (legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 septies, come modificato dalla legge 6 agosto 1967, n. 765, art. 19; il d.m. 1 aprile 1968, art. 4; la legge 24 luglio 1961, n. 729, art. 9; il d. Igs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 16 e il dPR n. 495 del 1992 cit., art. 26), non può ritenersi preordinato all’espropriazione, con l’effetto che di esso deve tenersi conto nella determinazione dell’indennità di esproprio, come risulta sia dall’art. 32, comma 1, dPR del 2001, secondo cui l’indennità di esproprio è determinata «valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa», sia dall’art. 37, comma 4, che specifica che «non sussistono le possibilità legali di edificazione» – ancor prima di esaminare gli strumenti urbanistici – «quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale». Questi concetti sono condivisibilmente ripetuti nella giurisprudenza con implicito riferimento a fattispecie eterogenee: a quella in cui l’area già soggetta a vincolo assoluto di inedificabilità (per qualunque causa) sia stata espropriata e si tratti di stimare il valore del bene, al fine di determinare l’indennità di esproprio, e a quella in cui il privato resti proprietario dell’area (non espropriata), pur subendo l’integrale o parziale soggezione della sua proprietà al rispetto stradale. La distinzione concettuale tra le due fattispecie (esproprio di area vincolata e imposizione del vincolo di inedificabilità su area non espropriata) è una premessa necessaria per verificare se e fino a che punto l’orientamento sopra richiamato sia utilizzabile per sostenere la conclusione cui è pervenuta la corte territoriale, nel senso che in sostanza nulla spetti al privato che resti proprietario dell’area incisa dall’apposizione del vincolo di inedificabilità. La suddetta conclusione invero sembra avvalorata da una parte della giurisprudenza di legittimità che fa leva sul carattere generale dei vincoli (conformativi) imposti a tutti i cittadini, in quanto proprietari di determinati beni individuati a priori per la loro posizione o localizzazione rispetto ad un’opera pubblica, per giungere alla conclusione che, trattandosi di «limitazioni legali della proprietà» riguardanti tutti i beni che si trovano a una certa vicinanza con l’opera pubblica, esse «non arrecano [al privato] in via specifica alcun deprezzamento del quale debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell’immobile, facendo difetto il nesso di causalità diretto sia con l’ablazione, sia con l’esercizio del pubblico servizio cui l’opera è destinata» (cfr. Cass. n. 2552 del 2014, n. 23210 del 2012). Alla mancanza del nesso di causalità fanno richiamo le pronunce che non riconoscono al proprietario alcun indennizzo per i pregiudizi – relativi sia alla ridotta edificabilità sia alla concreta fruibilità del bene – arrecati alla parte residua del fondo inciso dalla realizzazione di opere stradali (cfr. Cass. n. 25668 del 2015, n. 2959 del 2014, n. 5875 del 2012, n. 2938 del 2008, n. 4830 del 1983, n. 3932 del 1980). < , Questa conclusione cui ha aderito la sentenza impugnata non è condivisibile. E’ certamente vero che l’imposizione del vincolo di inedificabilità impedisce di indennizzare il privato per la perdita della edificabilità dell’area utilizzata come fascia di rispetto (della quale resta proprietario), per la ragione che si tratta di una disciplina inderogabile che non è aggirabile ipotizzando che l’area possieda comunque una volumetria edificatoria utilizzabile (e dunque indennizzabile) per il computo di superfici e di volumi perduti per effetto dell’espropriazione: in quanto è il presupposto su cui si fonda la costruzione ad essere errato, posto che la disposizione legislativa precede logicamente (e gerarchicamente) la classificazione urbanistica del suolo, precludendole qualsiasi valutazione difforme; e non è suscettibile di deroghe di fatto da parte degli strumenti generali di pianificazione del territorio che, in quanto provvedimenti amministrativi, sono assoggettati pur essi al rispetto delle norme di legge. E tuttavia, se è agevolmente spiegabile perché non sia configurabile l’invocato diritto all’automatico trasferimento della cubatura dall’area di rispetto a quella residua o ad altre aree, non sussistendo un diritto di costruire sulla prima, sarebbe eccedente rispetto agli scopi del vincolo legale di inedificabilità attribuirgli un effetto pervasivo indiretto e sostanzialmente ablatorio, senza indennizzo, anche sulle parti residue della proprietà (esterne all’area di rispetto autostradale). In questa direzione si colloca il condivisibile indirizzo secondo cui, in caso di espropriazione parziale per la realizzazione di opere stradali che comporti la creazione o l’avanzamento della fascia di rispetto che già gravava sulla proprietà privata, nel calcolo dell’indennità di espropriazione con il criterio della differenza fra il valore dell’intero fondo prima dell’espropriazione e quello di detta porzione residua dopo l’espropriazione (ex art. 40 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, ora 33 del dPR n. 327 del 2001), il suddetto vincolo deve essere computato in detrazione non di entrambi i termini di paragone, ma di uno soltanto, perché altrimenti verrebbe a pregiudicare due volte il medesimo bene (Cass. n. 6592 del 1996, n. 2592 del 1988). In altri termini, il vincolo pur assoluto di inedificabilità riguarda esclusivamente l’area (di rispetto) cui esso si riferisce per legge, rispetto alla quale soltanto opera l’effetto ablatorio incidente sullo jus aedificandi, ma il proprietario deve essere indennizzato se per effetto del suddetto vincolo l’area residua risulti non più utilizzabile come lo era (o poteva essere) prima e deprezzata (anche) per essere ridotta la capacità edificatoria che le era propria in forza dell’unione con l’area destinata al rispetto stradale (nel senso della indennizzabilità delle porzioni residue dei fondi che subiscono l’imposizione di vincoli di inedificabilità, cfr. Cass. n. 24435 del 2006, n. 2107 del 1982, n. 3576 del 1972, seppure con riferimento ad occupazioni illegittime). L’apposizione del vincolo di inedificabilità (riguardante l’area di rispetto) potrebbe incidere anche sull’area residua – quando sia unita funzionalmente ed economicamente o in stretto collegamento strutturale e obiettivo con quella espropriata (Cass. n. 17789 del 2015, n. 9541 del 2012, n. 3790 del 1990) – riducendone l’utilizzabilità e anche la capacità edificatoria, con effetti pregiudizievoli per il proprietario e per questo indennizzabili. E’ utile riportare in tal senso un passaggio motivazionale di un precedente di legittimità: «il preesistente vincolo di inedificabilità (relativo all’obbligo di osservanza delle distanze previste per le costruzioni rispetto al ciglio stradale) gravante sull’area espropriata o su parte di essa, si sposta dall’area su cui gravava originariamente a quella contigua che diviene perciò, nella stessa misura, inedificabile, con la conseguenza che, in questo caso, l’esproprio colpisce un’area edificatoria, resa inedificabile nella parte in cui va a sostituire quella precedentemente destinata a zona di rispetto stradale (massima di Cass. n. 7303 del 1997, seguita da Cass. n. 14643 del 2001 e da Cass. n. 6518 del 2007)», senza possibilità di assimilare urbanisticamente l’area residua a quella di rispetto (inedificabile o agricola), restando la prima edificabile (Cass. n. 13970 del 2011). Ad imporre la soluzione qui condivisa è la disciplina dell’espropriazione parziale che postula che l’indennizzo riconosciuto al proprietario dall’art. 33 del d.P.R. n. 327 del 2001 non riguardi soltanto la porzione espropriata (quando questa vi sia), ma anche la compromissione o l’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione del bene rimasta nella disponibilità del proprietario, in tutti i casi in cui il distacco di una parte del fondo e l’esecuzione dell’opera pubblica influiscano negativamente sulla parte residua (Cass. n. 20241 del 2017). Non varrebbe obiettare che la suddetta disciplina sia applicabile soltanto in presenza di una materiale apprensione di una porzione di fondo. Evidente è infatti l’identità di ratio che ne giustifica un’interpretazione estensiva all’ipotesi in cui sia ablato lo jus aedificandi relativo alla porzione corrispondente all’area di rispetto (che resta in proprietà del privato), come si desume dall’art. 32, comma 1, dPR n. 327 del 2001 che, in tema di indennità espropriativa, contiene disposizioni analoghe per la «espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà», assimilando le due ipotesi. Del resto, opinando diversamente nel senso che nulla spetti, in via di principio, al proprietario dell’area residua quando sulla restante porzione (rimasta formalmente di sua proprietà ma destinata ad area di rispetto) operi un vincolo di inedificabilità assoluto, si perverrebbe alla conclusione di favorire una disparità di trattamento, ingiustificabile in quanto derivante da una insindacabile scelta della pubblica amministrazione, rispetto al proprietario che, subendo l’espropriazione della medesima porzione, potrebbe ottenere l’indennizzo, seppure calcolato in relazione al valore non edificatorio dell’area stessa. Il criterio differenziale tipico dell’espropriazione parziale (che prevede la differenza tra il valore dell’intero fondo prima della vicenda ablatoria e quello della porzione residua) deve essere adattato alla specificità della fattispecie nella quale il privato resta proprietario dell’area di rispetto (sulla quale la perdita del diritto di edificare non è indennizzabile) e, nel caso in esame, egli non ha dedotto pregiudizi specificamente inerenti alla stessa, ma esclusivamente riguardanti l’area residua. Il suddetto criterio non è del resto vincolante, potendo il giudice di merito accertare e calcolare la diminuzione di valore dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti (cfr. Cass.n. 24304 del 2011, n. 10217 del 2009, n. 11782 del 2007). Nella specie, l’indennizzo eventualmente spettante al proprietario per la perdita di valore dell’area residua deve essere calcolato in relazione alla più limitata capacità edificatoria consentita sulla più ridotta superficie rimasta a seguito della creazione o dell’avanzamento della fascia di rispetto (in tal senso è anche Cass. n. 7195 del 2013), ma senza automatismi come quello, auspicato dalle ricorrenti, del trasferimento di cubatura da un’area all’altra. Va dunque affermato il seguente principio, al quale la corte territoriale dovrà attenersi: in tema di espropriazione per pubblica utilità, nel caso in cui, per effetto della realizzazione o dell’ampliamento di una strada pubblica (nella specie, di una autostrada), il privato debba subire nella sua proprietà la creazione o l’avanzamento della relativa fascia di rispetto, quest’ultima si traduce in un vincolo assoluto di inedificabilità che di per sé non è indennizzabile, ma che, in applicazione estensiva della disciplina in tema di espropriazione parziale, non esclude il diritto del proprietario di essere indennizzato per il deprezzamento dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti, quando risultino alterate le possibilità di utilizzazione della stessa ed anche per la perdita della capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste.

3.- Il sesto motivo (III) denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 33 del dPR n. 327 del 2001, per avere negato l’indennizzabilità della perdita di luminosità e panoramicità a causa della realizzazione di un muro di sostegno dell’opera autostradale, alto oltre venti metri a pochi metri di distanza dalla facciata del fabbricato, sulla base dell’affermazione che si assume apodittica e immotivata del mancato superamento della soglia di tollerabilità, da cui era derivata un’oggettiva perdita di valore economico della parte residua e, in particolare, del fabbricato. 3.1.- Il motivo è fondato. La corte territoriale ha rigettato la domanda di indennizzo per la ritenuta tollerabilità della perdita di luminosità e panoramicità del fabbricato, che è tuttavia un criterio sfornito di basi normative, dovendosi invece accertare il profilo decisivo dell’incidenza dell’opera stradale sul valore dell’area residua in termini di deprezzamento del fabbricato contiguo, nel caso in cui si accerti una oggettiva e apprezzabile riduzione della luminosità, panoramicità e godibilità dello , stesso. E’ anche questa una applicazione del principio dell’integralità dell’indennizzo dovuto al privato per i pregiudizi arrecati all’area residua nella fase di esecuzione dell’opera e di esercizio del pubblico servizio cui l’opera è destinata”.

Avv. Roberto Di Pietro

Avv. Roberto Di Pietro da Avezzano (L'Aquila)